Masseria Salento
La Masseria del Fano ha il pregio oggi di essere un luogo magico e incontaminato ma lo era anche nel passato se si considera che il suo nome “Fano” deriva dal latino Fanum ovvero “luogo degli Dei”.
Si narra esistesse un tempo una grande civiltà. Fu distrutta, cancellata dalla faccia della terra da un cataclisma inaudito. Era la cultura Minoica, una tra le più brillanti della Storia.
Tutto incominciò, o meglio finì, con l’esplosione del vulcano di Thera, l’odierna Santorini. Fu quella, la manifestazione di maggior potenza della Natura, talmente potente da provocare uno tsunami devastante che portò distruzione e morte a mille chilometri di distanza.
Si racconta anche che i pochi esuli, solcando il Mediterraneo, approdarono sulle coste del Salento. Alla ricerca di una terra nuova, si fermarono in un luogo fertile, ricco d’acqua e avvolto, per via del paesaggio numinoso, dal mistero. A tale posto diedero il nome della divinità più importante del loro pantheon divino: “Phanes” (Fano); era il 1.550 a.C. Duemila e cinquecento anni dopo, nell’anno 1.000 d.C., i monaci di San Basilio si insediarono là, scavando chiese rupestri e grotte, per vivere in solitudine, pregando e coltivando la vite e l’ulivo.
Nel 1577 Andrea Gonzaga, marchese di Alessano e Specchia, eresse una torre a difesa, per proteggere la Masseria dai pirati, incrementando anche le produzioni di olio, vino e fichi.
L’ultima proprietaria del sito, la Baronessa Vittoria Colonna, lascia la Masseria nel 1954 abbandonandola a se stessa. Ma la leggenda della vigna antica ed eccellente si racconta ancora nel Salento, ed è ammantata di meraviglie e profondi segreti, tanto che persino gli imperatori romani, si dice, venissero qui ad approvvigionarsi. La vigna è ancora lì ed è la stessa che la nobile Signora custodiva gelosamente, la stessa che Roberto Ziletti ha rievocato con cura a nuova vita.
Oggi quei tralci producono un vino unico, prezioso. E’ il ricordo di quelle barbatelle che, sotto antiche notti stellate, attraversando il Mare Nostrum, quegli esuli antichi detti minoici portarono al Fano, e di quei frutti sicuramente gustarono inebriandosi.
La storia
A poche decine di metri a sud della torre vi è la “Chiusa del Fano”, un’area archeologica dove per ben dieci anni è stata oggetto d’interesse di una campagna esplorativa ad opera dell’Università di Sydney in collaborazione con l’Università di Lecce. Gli stessi luoghi poi hanno fatto da rifugio nel 727 d.C. a migliaia di Monaci che sfuggendo ai massacri ordinati dall’imperatore Bizantino Leone III arrivarono in queste terre.
Il loro luogo di preghiera raffigurante una rara testimonianza iconoclasta è tuttora intatto e preservato.La fortificazione della torre è opera di Andrea Gonzaga (1539-1586) che fu il primo Marchese di Alessano (comune di cui Salve faceva parte) e la vicina comunità di Specchia. La madre, Isabella di Capua, aveva portato in dote ai Gonzaga molti feudi di Napoli, tra cui appunto anche Alessano.
La Masseria e la sua realtà intorno brillano di questa storia.
Una storia che rimane viva ancora oggi e che ci viene regalata così com’è, grazie a un territorio fatto di mare, di terra, di alberi che questa storia ogni giorno la raccontano e noi insieme al vostro viaggio possiamo curare e custodire.

Il nostro olio
L’olio extra vergine di oliva dei Monaci Basiliani, viene prodotto principalmente da olive della varietà Ogliarola Salentina, è la cultivar più tipica e caratteristica della nostra zona. Gli oliveti sono immersi e circondati dai pini, eucalipti e macchia mediterranea. Coltiviamo circa 40 ettari di olivi, per un totale di 1.500 piante. Le olivete sono tra i 15 e i 75 metri sopra il livello del mare, su terreni con forte pendenza che si affacciano sulle spiagge di Pescoluse.
Ai piedi della torre fortificata della Masseria eretta dai Gonzaga di Mantova e Conti di Alessano nel 1577 viene prodotto oggi, un olio extravergine di oliva di qualità superiore.
La natura incontaminata del territorio, l’aria pulita pregna di iodio sospinta dalla brezza del mare, la scrupolosa applicazione del disciplinare biologico, fanno dell’olio dei Monaci Basiliani un prodotto oggi difficilmente riscontrabile nel panorama oleario internazionale.
La resa si attesta tra il 12 e il 15% e trattandosi di piante secolari (le più vecchie hanno 450 anni), stiamo parlando di circa 10/15 lt. a pianta. Le olive vengono portate al frantoio il giorno stesso della raccolta per mantenere il massimo di freschezza dei frutti e dell’olio che se ne ricava. Frangitura ed estrazione sono molto accurate, a temperature inferiori ai 27 °C, con frantoio continuo. Il livello di acidità tra 0,20 e 0,40%, quello dei perossidi tra 4 e 6 entrambi bassissimi, indice di una freschezza e una conservabilità nel tempo eccezionale.
Il nostro vino
La Storia del vino è intimamente intrecciata a quella dell’uomo. Risulta quindi difficile tracciarne il percorso partendo dalla notte dei tempi, salendo poi fino all’epoca moderna.
Alcuni ritrovamenti archeologici hanno dimostrato che questa pianta rampicante, denominata scientificamente “Vitis Vinifera”, cresceva spontaneamente nelle foreste tra il Mar Caspio e le vette dell’Himalaya già 300.000 anni fa.
La storia del vino però la si iniziò a scrivere in Oriente, precisamente nell’età del Bronzo, tra il 3400 e il 2100 a.C. Già, però, non era più una pianta spontanea ma domestica che fece la sua comparsa precisamente in zone come l’Egitto, la Giordania e la Palestina. E’ in questo passamento storico e area geografica che l’umanità incomincia a coltivarla, scoprendone i valori e, in particolare, godendo il gusto di quel succo inebriante. Talmente inebriante che chi ne beve viene da subito caricato di un’aurea mistica, di valenze religiose sicché, la vite, entra subito nella simbologia dell’immaginario, nel folto e variegato Olimpo degli Dei.
E’ difficile non condividere la passione che sta alla base di tutti coloro i quali si dedicano alla coltivazione delle uve da vino, in “primis” per la storia millenaria che accompagna tale pratica umana. Poi per la capacità aggregativo-sociale che questo nettare sa mettere in campo quando viene sorseggiato con sapienza.
Ed è a questo punto che mi concedo una riflessione: “Se diventasse il vino la mia più grande passione, allora mi auguro di trovare, attraverso anche questo lavoro, la giusta via per produrne di eccellente qualità e salubrità. Mi riprometto anche di riuscire a venderlo, il mio prodotto coltivato con cura e passione, in ogni angolo del mondo. Dopotutto, vendere vino, è offrire piacere, è donare qualcosa che assomiglia molto ad un “sogno”.